venerdì 25 novembre 2011

Schiavi della paura

Salvador Dalì - Volto della Guerra
Le paure sono vere e proprie prigioni, su tutti i piani personali e sociali.
Ci condizionano in ogni scelta (o presunte tali).

Credo che sia lo spirito di autoconservazione del complesso mente-corpo-emozioni a dare origine, seguendo un sistema piramidale, a tutte le forme di paura che, in maniera assolutamente meccanica, ci colgono quotidianamente.
Dalla paura di farsi male o ammalarsi a quella di rimanere senza lavoro o di perdere la casa, ma anche più nel piccolo, come la paura di perdere il portafogli, la paura dei ragni, dei gatti, dei coccodrilli nella doccia e dei piccioni malaticci; ogni specifica paura credo possa ricondursi, in via più o meno diretta, alla Regina di tutte le paure: la paura di morire.
Il Trinomio mente-corpo-emozioni ha la possibilità di sperimentare se stesso e il mondo esterno solo attraverso i suoi 5 sensori (bocca, naso, orecchie, pelle e occhi), quindi di percepirsi esclusivamente confinato in 3 dimensioni spaziali e una temporale, attraverso la banda vibrazionale tipica del mondo materiale. Per quanto ne sa il Trinomio esiste solo quello: materia sviluppata nello spazio che si può evolvere nel tempo. Al massimo accetta le idee di "sensazione", "pensiero" ed "emozione". Non solo: il Trinomio sa di avere una scadenza, e questo è il punto cardine.
Tutto quello che può fare, col presunto fine della continuazione della specie, è cercare di salvaguardarsi il più possibile, come il software installato nel proprio codice genetico impone, in quanto stupida macchina funzionante. Stupida non per offesa gratuita, ma per dato di fatto, perché priva di una propria volontà.
-Forse sto cercando di infilare un po' troppi concetti in un unico argomento, che prima o poi mi piacerebbe affrontare singolarmente e sviluppare.-
Tornando alle paure, trovo normale che esse esistano e si manifestino in ogni aspetto della nostra vita, sul piano materiale.
Ciò non toglie che:
-le paure sono vere e proprie prigioni, su tutti i piani personali e sociali.
-ci condizionano in ogni scelta.

Come liberarsene dunque? Forse hackerando il software genetico? Un giorno, forse, sarà possibile ma ha l'aria di una pratica con grosse controindicazioni. Sarebbe un po' come avere un'auto senza freni, o meglio con i vetri appannati... non so se la metafora rende.

Questa la mia osservazione:
diciamo sempre: "la MIA macchina, il MIO computer, i MIEI vestiti"...
poi estendiamo: "il MIO corpo", "la MIA emozione", "i MIEI pensieri"...
Mi domando, se stessimo mal interpretando il nostro Essere?
Non è che crediamo di essere ciò che in realtà possediamo? (o meglio, utilizziamo: l'idea di possesso rende bene nella spiegazione, ma non è corretta.)
Siamo quindi un'essenza che trascende il piano psico-fisico (altrimenti sarebbero sufficienti i nostri sensi a definirla) dal quale abbiamo perso il contatto?
In virtù di questo, entrare in contatto con il proprio Essere, riscoprire la propria Essenza, trovare il Sè o altri sinonimi, equivarrebbe a smettere di identificarsi col Trinomio. Così facendo, percepiremmo le SUE paure come un'espressione fenomenica di un nostro strumento, non più come uno stato dell'Essere, pertanto non ci causerebbero più sofferenza.

Tornando all'esempio dell'automobile, sarebbe come se diventassero spie del cruscotto che avvisano di un possibile malfunzionamento.
Identificandoci con il guidatore riusciremo a prendere atto di questi avvisi avendo cura dell'auto, ma consapevoli che nel caso si dovesse rompere, potremo sempre continuare a piedi.

lunedì 21 novembre 2011

Il mio primo maestro, parte 1

Inizierò questa avventura online parlando di colei che, suo malgrado, è stata -anzi è- la mia prima maestra.
Prima non tanto per ordine cronologico o di importanza, quanto per la semplicità delle "lezioni" quotidianamente impartite, sgrazie al suo comportarsi COSI' COM'E'.
Sto parlando di Laila, la cagnetta di casa.
Già sento echeggiare i commenti di chi mi sta vicino: "ommioddio, paarte la sviolinata sul suo cane e bla, bla bla..." Ammetto che con Laila ho un rapporto che trascende la normale convivenza uomo-cane: a vedermi e sentendomi parlare dò l'impressione, come si dice a Genova, di essere completamente abbelinato.
Non è di questo che voglio parlare.
Prendo Laila come riferimento, avendola quotidianamente vicina, per fare una riflessione su quanto possiamo imparare dal mondo animale.
Ovviamente è un'affermazione che andrebbe sviluppata in interi volumi, più che in un post, quindi quanto scriverò è da prendere con le pinze. Prima di tutto perché un cane è facilmente condizionabile. Quella che comunemente chiamiamo "educazione del cane" non è altro che l'applicazione di condizionamenti al fine di rendere il cane compatibile con la nostra società. Una vera e propria violenza, a parere mio, ma indispensabile per il loro bene, visto che abbiamo colonizzato ogni spazio disponibile.

Divagazioni a parte, penso che un cane domestico viva tra le sbarre delle sue prigioni, ma sia libero da molte di quelle che condizionano l'uomo, ed è di queste che voglio parlare.
Inizio dunque col presentare il primo insegnamento che Maestra Laila mi ha impartito.
Laila vive costantemente nel presente.
La sua attenzione è sempre focalizzata in quello che sta facendo, mentre la mia mente è un costante vagare incontrollato di pensieri. Sono pensieri che hanno origine spontanea, vengono prodotti e mutano per associazioni e difficilmente hanno a che fare con l'istante che sto vivendo: per lo più sono ricapitolazioni di momenti passati o anticipazioni per quelli a venire, in ogni caso pensieri inutili se non dannosi, proprio perché lontani dall'istante presente che sto vivendo.
Laila segue attentamente il fluire del suo presente: nelle corse dietro alle palline (in realtà sono arance selvatiche che stentano a maturare in giardino, per le quali abbiamo trovato un'utilità differente dalla nutrizione!), nell'impaziente noia dell'attesa della pappa, nello sforzo sovracanino dell'interpretare quello che le dico, eccetera. Se qualcosa la distrae, secondo il suo personale ordine di priorità istintuale (sommariamente: pericolo - nutrizione - difesa del territorio - svago) si disconnette drasticamente dalla precedente attività, per dedicarsi con pienezza a quella nuova.
Che vantaggi ha, dunque, Laila rispetto a me? Senz'altro l'utilità delle esperienze passate nella vita di tutti i giorni.
Per lei, brutte esperienze come pessono essere  state il prendere una musata sul vetro del portoncino correndo dietro ad un biscotto volante, o ricevere un morso dopo aver importunato un altro cane, sono avvenimenti che condizionano, in termini di bagaglio di esperienza, i suoi comportamenti: ora porobabilmente è più prudente nel varcare le soglie delle porte in modalità levriero, e di certo non assaggerà più il didietro di un rottweiler a sua insaputa! In me invece, ma credo in gran parte delle persone, un'esperienza qualsiasi può innescare, anche a distanza di molto tempo, una miriade di pensieri ed emozioni satelliti che si presentano non appena un'associazione casuale della mente riporta a quel fatto, talvolta legandolo, sempre per associazioni fuori controllo, a contesti che non hanno nulla a che fare né con il fatto originario, né tantomeno con quello che si sta svolgendo. Un grande spreco di energie mentali e di tempo!
Inoltre sono quasi sicuro che Laila non passa le giornate a girare film mentali su se stessa che non riesce a prendere al volo la crosta della pizza che le potrebbe essere lanciata a cena, frustrandosi per la cattiva prestazione non ancora compiuta: solo QUANDO si mangerà pizza, si troverà LI ad attendere pazientemente la crosta volante, cercherà di prenderla al volo e, se cadrà la raccoglierà, godrà ugualmente del sapore (forse questa è un'umanizzazione!) e si metterà pazientemente seduta, in un evidente stato di gratitudine, in attesa di un altro pezzo.
E noi? Quante volte ci troviamo a visualizzare possibili svolgimenti delle giornate future? Quante volte immaginiamo cosa diremmo ad una certa persona nel caso in cui ci faccia arrabbiare, ad un collega che potrebbe non condividere la nostra posizione o all'autista di un'ipotetica auto che ci potrebbe rubare il posteggio comodo? Ovviamente provando all'istante -è questo l'assurdo- il medesimo sentimento che proveremmo in quella circostanza, che con buona probabilità non accadrà. Oppure quante volte è capitato di girare il film mentale di un ipotetico incontro con la persona tanto intrigante che abbiamo incontrato per strada, in un giorno di pioggia (suona molto Licia e Mirko), provando subito gioia e poi frustrazione, subito dopo, nel ricordarci che non abbiamo alcuna possibilità di rivederla?
Bel casino.
Ogni volta che la osservo, penso che non prestiamo mai la dovuta attenzione a quanto stiamo facendo: la prima schiavitù di cui siamo vittime, come molte altre, risiede proprio nella nostra mente, o meglio nella nostra incapacità di gestirla come uno strumento al nostro servizio.

Continua...


La Via dell'Adesso from nonsoloanima.TV on Vimeo.